All’inizio …
All’inizio è la Parola: Dio dice e ogni cosa prende corpo. Parola creatrice, parola che organizza il caos iniziale, parola che dona la vita. Infatti a conclusione della creazione Dio dice: è cosa molto buona (cfr. Gn 1). La parola è infinitamente buona. Attraverso di essa l’amore di Dio si esprime, prende corpo, si dona. La vocazione della parola è di inserirci in questa relazione d’amore, una relazione che dà vita.
La parola umana è strumento di comunione nell’amore; essa resta tuttavia profondamente ferita dal peccato originale. Può diventare menzogna, può dividere, condannare, distruggere, uccidere.
Anche il silenzio può essere luogo di comunione nell’amore: il silenzio è spesso più forte di qualsiasi parola. Basti pensare a quanto amore e compassione sprigiona il gesto di stringere la mano di un malato o di un morente. Anche due innamorati, mano nella mano, esprimono meglio il loro amore con il silenzio piuttosto che con la parola. Occorre però che questi silenzi siano il frutto di una presenza effettiva e di una parola data, visto che anche i nostri silenzi sono segnati dalla ferita del peccato. Possono essere dei «non detti», manifestazione di indifferenza, disprezzo, chiusura, rabbia, pugni chiusi. Il silenzio può ad esempio rompere la comunione (per esempio in una coppia) o addirittura uccidere.
Una purificazione necessaria
Nelle nostre relazioni umane e nella nostra vita spirituale la parola e il silenzio vanno purificati e devono sostenersi reciprocamente. Il silenzio alla maniera di Dio non è assenza di parola, ma tra-scende la parola. Il miglior silenzio è innanzitutto ascolto. Ascolto di Dio per lasciarsi chiamare, istruire, guidare, amare da Lui. Ascolto dell’altro per la-sciargli lo spazio necessario. Ascolto del suo cuore nel profondo del silenzio interiore per un discernimento che esula dalle proprie passioni.
Non di rado capita di parlare – anche con parole molto belle – per non ascoltare l’altro (cfr. Lc 11, 27-28). Anche le liturgie possono a volte cadere in questa trappola quando, ignorando il comanda-mento «Ascolta, Israele» (Dt 6, 4), non danno spazio sufficiente all’ascolto e all’adorazione silenziosa.
Per alcuni la tentazione sarà quella di fuggire o rompere il silenzio per paura di ritrovarsi soli di fronte a se stessi. Un buon silenzio è anche segno di autonomia e rispetto dell’altro e di ciò che sta vivendo. Per altri il silenzio sarà la paura di esprimersi e mettersi a nudo pubblicamente.
Ascolto e risposta
Se il silenzio diventa ascolto, occorre allora ascoltare veramente e non udire solo le parole dell’altro. L’ascolto di-venta un atto del cuore e non della testa. Dopo la proclamazione del Vangelo, durante l’Eucarestia, il sacerdote o il diacono dice: «Parola del Signore» e noi rispondiamo: «Lode a te, o Cristo». È innanzitutto il Signore che lodiamo, poi-ché ci viene incontro con la sua Parola. Soltanto in seguito meditiamo e accogliamo la Parola che ci viene donata proprio quel giorno. Occorre saper accogliere quella Parola, non per farne oggetto dei nostri ragionamenti sempre pronti alla discussione, all’argomenta-zione e spesso alla difesa, ma riceverla con un cuore da discepolo che si lasci istruire e plasmare da essa. Così come fece la Vergine Maria che serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore. L’ascolto, il silenzio, le parole devono di-ventare umili e caste alla scuola di Maria. Se il silenzio è ascolto, allora la parola deve essere anzitutto risposta. Non rea-zione alla parola dell’altro, ma risposta nella quale il profondo del nostro cuore si impegna.
Silenzio e orazione
Ovviamente è nell’orazione che il silenzio è più prezioso e più difficile da vivere. È bene iniziare il tempo di ora-zione con uno sguardo alla Vergine Maria, per renderci accoglienti alla visita di Dio. In seguito possiamo entrare nella preghiera mediante un versetto della Parola (per esempio un salmo); non è il tempo della meditazione ma quello della comunione, mano nella mano del Signore. Possiamo anche iniziare mormorando un nigun o un canto in lingue, modalità espressive tra la parola e il silenzio poiché si situano oltre il nostro ragionamento e ci aiutano a scendere nel cuore.
Poi, durante tutto il tempo della nostra orazione, la preghiera del cuore dovrebbe aiutare a rimanere umilmente alla presenza di Dio. Durante questo tempo alcuni pensieri potrebbero non darci tregua: preoccupazioni quotidiane, parole o atteggiamenti che ci hanno umiliati, antiche ferite o vecchi sogni che riemergono, a volte pensieri ossessivi di scoraggiamento o di vanagloria, a volte pensieri ancora più oscuri (gelosia, mormorazioni ecc.). Dobbiamo cercare di imbavagliare questi pensieri o evitarli? Non sarebbe forse meglio lasciarli semplicemente scivolare nel cuore di Dio senza che ci si soffermi?
Alla scuola di Maria
Contempliamo Maria e Giovanni presso la Croce. Sono lì, rivolti verso il Cristo, con il cuore lacerato per ciò che stanno contemplando. Dio agisce per la salvezza del mondo anche se loro non riescono ancora a capirlo fino in fondo. Sono l’immagine dei veri discepoli che sanno custodire e meditare nel pro-fondo del loro cuore ciò che contemplano. Alle loro spalle sentono le grida della folla: le ingiurie, le bestemmie, le grida di odio in cui si esprime tutta la disperazione e la rivolta umana.
Sentono ma non ascoltano. Lasciano che tutto questo scivoli nel cuore di Dio, attraverso il cuore squarciato di Cristo. Anche Maria si lascia trapassare il cuore da queste grida. È con questo atteggiamento che siamo invitati a stare davanti a Cristo Gesù nell’adorazione, consegnandogli nel silenzio tutto ciò che è in noi e le grida del mondo. Giovanni, che ha visto il cuore di Cristo squarciato dal colpo di lancia, quando vedrà il sepolcro vuoto, avrà la certezza di un Dio che non ha trattenuto nulla e ha perdonato tutto attraverso la salvezza vincitrice della risurrezione del Signore.
La citazione
«Tutto ciò che è grande e creatore è fatto di silenzio.» – Cardinal Sarah
Per approfondireSoltanto per oggi
Libri
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La testimonianza di Pietro – Dalla parola al silenzio e dal silenzio alla parola
Fra gli apostoli Simon Pietro è spesso il primo a prendere la parola, a volte illuminato dallo Spirito, a volte intralciando il piano di Dio (cfr. Mt 16, 13-23) a volte non sapendo che cosa dire (cfr. Mc 9, 6). Ma dopo averlo rinnegato tre volte, quando incrocia lo sguardo del Signore, non dice niente e piange amaramente. Davanti al sepolcro vuoto e la sera di Pasqua, quando il Cristo si manifesta agli apostoli, Pietro non dice niente. Qualche giorno più tardi, in riva al lago di Tiberiade (cfr. Gv 21), quando Giovanni gli dice: «È il Signore», egli non discute, si tuffa in acqua. Accanto al fuoco, non dice niente. È Gesù che prende l’iniziativa interrogandolo. A quel punto può dire l’unica parola che Gesù aspettava: «Tu sai che ti amo.» È stato necessario questo lungo silenzio in cui molti ricordi hanno travagliato il suo cuore perché potesse dire finalmente questa parola vera…