L’orazione, un atto di fede
Nel prologo della Salita del Monte Carmelo, San Giovanni della Croce scrive: «Ci sono anime che pensano di non avere alcuna orazione e che ciononostante ne hanno molta, e ce ne sono altre, invece, che pensano di averne molta ma ne hanno molto poca.» In altre parole alcuni ritengono di pregare bene ma pregano male, altri hanno la sensazione di pregare male (perché la loro preghiera è povera…), ma di fatto pregano molto bene! Questa osservazione ci obbliga a interrogarci: che cosa rende buona l’orazione (ci avvicina a Dio, ci trasforma progressivamente…) o che cosa la mantiene superficiale?
La risposta è semplice: affinché la nostra orazione sia buona occorre che sia un atto di fede, un atto di speranza e un atto d’amore. Ritroviamo le tre virtù teologali, che sono il dinamismo essenziale della vita spirituale e quindi anche della preghiera. Sono esse a unirci a Dio.
In pratica possiamo pregare in molte maniere diverse: meditare la Scrittura, aprire il nostro cuore a Dio, restare in un silenzio adorante, recitare il rosario o utilizzare la preghiera di Gesù… Tutti i metodi sono buoni a condizione che la disposizione fondamentale del cuore sia pervasa da fede, speranza e amore. In questo numero parleremo della fede. La speranza e l’amore saranno oggetto di altri articoli.
Dal momento che si mette a fare orazione, una persona fa implicitamente un atto di fede: crede che Dio esiste, che l’ama, che vale la pena di trascorrere del tempo con Lui… Questo atto di fede, spesso povero, non sempre accompagnato da sentimenti.
intensi o da grandi illuminazioni, è comunque essenziale. La fede è la porta d’entrata della vita mistica. È lei che ci mette realmente in contatto con Dio. «Più ha fede, più l’anima è unita a Dio», dice San Giovanni della Croce nella Salita del Monte Carmelo. L’unione con Dio non si misura con l’intensità delle emozioni percepite o con l’abbondanza delle luci che l’intelligenza riceve, ma con la sincerità dell’atto di fede. Le facoltà umane hanno chiaramente un ruolo importante nella vita di preghiera, in particolare la sensibilità e l’intelligenza, ma occorre situarle in modo adeguato.
Ruolo e limiti della sensibilità
È senz’altro positivo che nella preghiera venga toccata la sensibilità, che il cuore percepisca emozioni belle. Questo incoraggia e ravviva la nostra fede, ci fa sperimentare che Dio non è una nozione astratta ma una realtà viva capace di toccare profondamente il nostro cuore. Tuttavia, l’aspetto emotivo non può costituire il fondamento della nostra vita di preghiera. È senz’altro buono e necessario «gustare» Dio, ma tutto ciò che gustiamo di Dio non è ancora Dio. Egli è infinitamente più grande di tutto ciò che la sensibilità umana può percepire. È meglio quindi non darvi eccessiva importanza. Si correrebbe il rischio di interessarsi di più ai doni di Dio, ai sapori sensibili, che non a Dio stesso. Ci si potrebbe anche preoccupare, pensare di essere lontani da Dio o sentirsi in colpa per il fatto di pregare male se non si percepisse più nulla nella preghiera. Quando la sensibilità vive l’aridità, non bisogna preoccuparsi, ma accoglierla come un invito a praticare la fede in maniera più pura e a ricordarsi che ciò che ci mette realmente in contatto con Dio non è l’intensità delle emozioni ma la determinazione della fede.
La fede ci rende liberi: liberi di accogliere con gratitudine i sentimenti di gioia e di amore che a volte Dio ci permette di percepire, ma liberi anche di perseverare nell’aridità senza restarne turbati. La fede basta; ci fa toccare Dio e permette a Dio di toccarci e di lavorare segretamente nel nostro cuore. Sul momento non ce ne rendiamo conto, ma un giorno ne vedremo i frutti.
Ruolo e limiti dell’intelligenza
Anche a proposito dell’intelligenza possiamo fare una riflessione analoga. È ovviamente una grazia quando l’intelligenza è illuminata sulla ricchezza dei misteri della fede. Anche noi dobbiamo sforzarci per quanto possibile di capire ciò che crediamo, di sviluppare la nostra intelligenza delle realtà di fede. È altrettanto prezioso ricevere nel concreto della nostra vita illuminazioni sul nostro cammino personale, sulle decisioni da prendere. Ma anche in questo caso non possiamo misurare la verità della preghiera con la quantità di illuminazioni che la nostra intelligenza riceve. Dio permette a volte periodi di oscurità che sono normali. Ciò che capiamo di Dio non è ancora Dio. Alcune verità di fede superano la nostra capacità di comprensione. Inoltre Dio non risponde a tutte le nostre domande e non ci dà sempre tutta la luce che vorremmo possedere.
Questi momenti in cui l’intelligenza è nell’oscurità possono essere dolorosi, ma sono necessari. Essi ci evitano di cadere nella tentazione di ridurre Dio alle categorie della nostra intelligenza. Ci purificano anche da ciò che l’esercizio dell’intelligenza può a volte distorcere. L’intelligenza è una facoltà umana nobile e preziosa, ma il suo esercizio concreto deve essere purificato. L’uso delle nostre facoltà intellettuali può essere viziato dall’orgoglio della conoscenza, dalla curiosità o da una ricerca di sicurezza umana: «Ho capito tutto e quindi sono tranquillo!» A volte c’è anche una volontà di potenza: conoscere significa controllare. La nostra intelligenza ha bisogno di imparare l’umiltà e di riconoscere i propri limiti, di abbandonare ogni pretesa di controllo e di dominio. Ecco perché Dio la mette a volte nell’oscurità. Ma è allora che la fede viene in nostro aiuto: non capisco, ma questo non mi impedisce di credere, di sperare, di amare… San Giovanni della Croce parla della «fede nella quale amiamo Dio senza capirlo.»
Anche in questo caso la fede ci rende liberi, liberi di accogliere con gioia la luce che Dio accorda, ma liberi anche di camminare nell’oscurità abbandonandoci a Dio. È quindi molto consolante capire quanto la fede sia il vero fondamento della preghiera, ciò che ci mette realmente in contatto con Dio, ci unisce a Lui e Gli permette di agire in noi. L’aridità e le oscurità incontrate nella vita di preghiera sono faticose, ma ci permettono di diventare adulti nella fede. Questo cammino di fede non vuole svalorizzare o distruggere le nostre facoltà umane, sensibilità e intelligenza, ma purificarle e renderle adatte a raggiungere Quello che è il loro obiettivo ultimo. Paradossalmente il fatto di accettare aridità e oscurità nella preghiera affinerà la nostra sensibilità facendola maggiormente capace di gustare Dio, e renderà anche la nostra intelligenza più penetrante per contemplare la grandezza dei suoi misteri. Domandiamo questa grazia di determinazione nella fede e invochiamo la Vergine Maria affinché ci faccia partecipare alla sua fede.
La citazione
«La santa Vergine vi farà partecipi della sua fede (…) una fede pura, che vi permetterà di non più preoccuparvi delle sensazioni e dello straordinario; una fede viva e animata dalla carità, che vi spingerà ad agire per puro amore; una fede determinata e incrollabile come una roccia che vi permetterà di rimanere determinati e costanti in mezzo a temporali e tormente.» San Luigi Maria Grignion de Montfort
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