Voglio vedere Dio, esclama la Madre. Un desiderio ardente e inestinguibile dimora nel suo cuore, tanto che la sua ricerca non cesserà mai, attraverso la scuola d’orazione, di perseguire la realtà ultima (eschaton). San Paolo evoca quella dei battezzati: «E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore» (2 Cor 3,18). Mediante il battesimo ogni cristiano è già risuscitato con Cristo e può esclamare con Giobbe: «Dopo che questa mia pelle sarà distrutta, senza la mia carne, vedrò Dio. Io Lo vedrò, io stesso, e i miei occhi Lo contempleranno non da straniero. Le mie viscere si consumano dentro di me» (Gb 19, 26-27). Questo ardente desiderio è presente anche nelle nostre liturgie, come si evince ad esempio dalla colletta della messa della festa di Santa Chiara che termina così: «Concedici di seguire Cristo con la stessa povertà di spirito per poterti contemplare nel Regno dei cieli».
Scopo dell’orazione
Se, secondo San Serafino, «lo scopo della vita cristiana è l’acquisizione dello Spirito Santo», è bene già su questa terra cercare di contemplare i misteri invisibili che in Cielo ci saranno pienamente svelati nella gioia e nella luce. La nostra vocazione alla preghiera attinge al mistero della Trasfigurazione (cfr. Libro di Vita). Il nostro sforzo alla sequela di Cristo, Verbo rivolto al Padre, consiste nel salire sulla montagna dove, come Mosè, Elia e gli apostoli, saremo afferrati dalla luce increata e dove soltanto per grazia ci è concesso vedere quelle cose che occhio non vide e di udire ciò che orecchio non udì (cfr. 1Cor 2,9). Certamente resteremmo ben volentieri in questo stato di felicità e di pura gioia spirituale! Se è bene gustare questi momenti di pura grazia, è senza dubbio per proseguire il cammino, spesso arido e desertico, e avere il coraggio di andare fino in fondo e vedere il suo Volto.
La contemplazione
L’abituale pratica dell’orazione persegue lo scopo dell’unione. L’orazione caratterizzata dal raccoglimento e dalla contemplazione infusa predispone l’anima a questo beneficio. Secondo l’insegnamento di San Giovanni della Croce questa pratica semplice e spoglia è quella di una vita teologale determinata e perseverante che si fortifica nella povertà di spirito e nella conversione continuamente rinnovata.
Sempre secondo San Giovanni, se rimane in questo raccoglimento e nella notte passiva dei sensi, l’anima progredisce mediante la fede «che opera per mezzo della carità» (Gal 5,6). Il cuore s’infiamma sempre più d’amore e di desiderio per l’Amato. Le forze dell’anima sono anch’esse progressiva-mente conquistate da Dio. Un semplice sguardo, uno slancio del cuore, come testimonia Santa Teresa di Gesù Bambino, bastano all’orante per essere conquistato da Dio. Allora facciamo nostra l’esperienza di Paolo: «non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20). La persona diventa quindi disponibile alla divina volontà attraverso la quale viene introdotta nell’intimità di questo «fuoco divoratore» (Eb 12,29).
Paradossalmente questa grazia di contemplazione può mantenere l’anima in una gioia e una pace profonde e nel contempo nell’oscurità, nella notte oscura o addirittura nella sensazione di assenza di Dio. In altri momenti il Signore sembra aprire fra le nubi una finestra sul Cielo e concedere uno squarcio di luce che offra all’intelligenza una comprensione del mistero divino e dei suoi piani. Teresa di Lisieux è giunta ad affermare: «Nostro Signore nell’orto degli Ulivi godeva di tutte le gioie della Trinità, eppure la sua agonia non era meno crudele. È un mistero, ma le assicuro che, da ciò che provo io stessa, ne capisco qualcosa» (citato da Giovanni Paolo II nella Novo Millennio Ineunte n° 27). Gli orientali la chiamano la gioia dolorosa. Ad ogni modo la volontà umana è sempre più fermamente stabilita in Dio, a tal punto che diventa come parte di Dio stesso e che niente «potrà mai separarla dall’amore di Dio» (cfr. Rm 8, 39).
Un’opera dello Spirito
Il maestro per eccellenza nell’orazione, e a maggior ragione nella preghiera contemplativa, è lo Spirito Santo. Per quanto ci riguarda, noi possiamo soltanto disporci a cercare il beneplaci-to di Dio. Così si esprime San Bernardo: «L’amore dello Sposo, anzi lo Sposo-amore cerca soltanto il ricambio dell’amore e la fedeltà. Perché la sposa, e la sposa dell’Amore non dovrebbe amare (…) per attendere tutta e solo all’Amore? (…) Grande cosa è l’amore se si rifà al suo principio, se ricondotto alla sua origine, se riportato alla sua sorgente. Di là sempre prende alimento per continuare a scorrere. (…) Perciò per lei amare così è aver celebrato le nozze» (Discorsi sul Cantico dei Cantici).
Preghiamo pertanto lo Spirito Santo di farci desiderare Colui che ci desidera assai più intensamente di quanto siamo in grado di fare noi.
I suoi frutti
San Giovanni della Croce dice che se lo spirito si innalza verso Dio al di là dei beni sensibili è perché è «nutrito» dallo Spirito Santo che lo colma e lo eleva fino a Dio. In tal modo può gustare le bontà di questa amicizia divina, i frutti dell’amore e le delizie delle sue tenerezze. Ciò che rafforza lo scambio d’amicizia è il silenzio nel quale la vita contemplativa si nutre della vita trinitaria che riceve secondo la saggezza divina al di là di ogni rappresentazione. Penetrata da luci divine, grazie allo Spirito, l’intelligenza si apre e riceve favori divini, ispirazioni e carismi, come si evince dalla vita dei santi.
Occorre beninteso restare prudenti e umili, «tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede» (Eb 12,2). Poiché l’orazione e la vita contemplativa aprono al mondo futuro, ma noi siamo ancora in cammino e continuiamo ad aspirare al compimento del nostro desiderio. Soltanto desideri forti e puri (cfr. orazione dell’Avvento) ci rendono capaci di aspirare ai beni escatologici.
Il mondo aspetta autentici oranti contemplativi che gli indichino la strada del Regno: «(…) quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è» (1Gv 3,2).
La citazione
«Cessa ogni movimento e la preghiera stessa cambia natura: “L’anima prega al di fuori della preghiera” (Isacco il Siro). È l’esichia, il silenzio dello spirito, il suo riposo che è al di sopra di ogni orazione. La pace che sorpassa ogni pace. È già il faccia a faccia esteso sull’eternità, quando secondo la bella espressione di Giovanni Damasceno «Dio viene nell’anima e l’anima emigra in Dio.»
Paul Evdokimov
Testimonianza di Sant’Agostino nelle Confessioni
Lei ed io [Santa Monica e Sant’Agostino], appoggiati a una finestra da dove si vedeva il giardino, eravamo soli nella casa nella quale abitavamo. Era ad Ostia alla foce del Tevere. Lontani dalla folla, dopo la fatica di un lungo viaggio, recuperavamo le forze in vista della traversata. Conversavamo quindi da soli con grande mitezza. Dimenticando il passato e protesi al futuro, cercavamo insieme, al cospetto della Verità, cioè al Tuo cospetto, ciò che sarebbe stata la vita eterna dei santi, che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo. I nostri cuori si aprivano avidamente ai flutti celesti della Tua fonte: la sorgente di vita che è in Te.
Per approfondireSoltanto per oggi
Letture
|
Il “Libro di Vita” è il testo fondante della spiritualità della Comunità. Puoi scaricarlo qui in italiano . La versione francese qui oppure puoi ordinarlo in francese da Editions des Béatitudes.