L’accidia è una realtà complessa fatta di pigrizia, noia e scoraggiamento, ma anche di stanchezza, disgusto per il lavoro e la preghiera, torpore, voglia di mollare tutto. Tutti i Padri della Chiesa vi vedono uno dei principali ostacoli alla preghiera. Chiamata anche «demone di mezzogiorno» è vista come la più pesante e più opprimente delle passioni. È una prova e una tentazione che diventano peccato quando si cede ad essa, rinunciando a qualsiasi sforzo.
Come si manifesta
Instabilità fisica: voglia di muoversi in continuazione, di cambiare luogo. «L’accidia suscita nel monaco il desiderio di altri luoghi, dove gli sarà più facile procurarsi il necessario, dove troverà un mestiere più facile e nel quale riuscirà meglio.» (Evagrio Pontico) Questa instabilità rivela quella più profonda del cuore.
Una vaga e generale insoddisfazione, il disgusto per i propri doveri: la persona colpita dall’accidia non trova più alcun gusto in niente, trova tutte le cose insipide e non si aspetta più nulla.
L’accidia la spinge a evitare le proprie attività e a cercarne delle altre, facendole credere che queste ultime saranno più interessanti e la renderanno più felice. In realtà sarà più negligente nell’adempiere i suoi doveri e spinta a fare il meno possibile…
Il vuoto interiore che essa genera può spingere la persona a intraprendere molteplici attività e spostamenti non necessari, senza che ne tragga una reale soddisfazione. In seguito possono sopraggiungere disperazione e depressione.
Un oscuramento dell’anima e dello spirito: l’accidia è una svogliatezza dell’anima nelle sue attività spirituali. Cerca di distogliere la persona dalla regolarità e dalla costanza necessarie alla preghiera e mediante discorsi fatui la spinge a rompere il silenzio. Lo zelo per Dio sembra sparito. San Giovanni Cassiano sottolinea che «ferita da questo turbamento, l’anima è veramente assopita nei confronti di qualsiasi contemplazione delle virtù e di qualsiasi visione dei sensi spirituali.»
«L’uomo si alza a pregare e non trova né le parole della preghiera, né la forza di perseguire l’orazione. Quando si siede a leggere, il libro nelle sue mani, secondo Isacco il Siriano, gli pesa come se fosse di piombo e può rimanere aperto davanti ai suoi occhi tutto il giorno senza che possa comprenderne una sola riga. L’intelletto è distratto, incapace di concentrarsi e di comprendere il significato delle parole; la volontà che presiede ogni attività è svanita.» (Matta El Maskîne)
Cause e motivi
Una prima causa può essere il sovraccarico: un’attività ci ha richiesto uno sforzo eccessivo o abbiamo intrapreso un’ascesi al di là delle nostre forze così da farci crollare. Oppure per scrupolo abbiamo moltiplicato le pratiche, facendo più di quanto ci è stato chiesto e improvvisamente siamo incapaci di compiere anche il minimo, che in precedenza ci sembrava così facile.
Clima caldi e malsani possono essere, secondo i Padri della Chiesa, un’ulteriore causa dell’accidia.
Non mancano certo i motivi per cui Dio permette all’anima che lo cerca una simile prova. Padre Matta El Maskîne ne intravede tre:
- «Dio toglie all’anima la sua capacità di elevarsi oltre le sue possibilità di equilibrio e di resistenza perché non cada e si perda. Il motivo è la salvaguardia della vita dell’anima e la difesa dall’orgoglio spirituale».
- Essa vuole anche correggere una falsa concezione che l’anima può avere di Dio. Non è a causa dei suoi sforzi o della sua assiduità che l’anima è amata da Dio: essa gli è altrettanto preziosa nei momenti di oscurità o di incapacità. Per amarla, Dio non ha bisogno del suo fervore o delle sue opere. Quest’ultime non sono il prezzo da pagare bensì la risposta all’amore che Dio le manifesta gratuitamente.
- Essa vuole consolidare la fede in Dio al di là di ciò che è sensibile. La fede deve «innalzarsi al di sopra degli abbandoni e indurre l’uomo a conservare la sua fiducia in Dio, nella sua misericordia e nella sua sollecitudine, nonostante tutte le difficoltà che sta attraversando.» Nella tradizione occidentale possiamo fare un certo
I rimedi
Piangere è il primo rimedio raccomandato da Evagrio Pontico, un Padre del deserto. Significa riconoscere la nostra impotenza e la necessità di un Salvatore. Confidiamo nel fatto che verrà e ci starà accanto come una madre con il proprio figlio. La preghiera e la Parola di Dio: potrà essere una breve preghiera che si riesce ancora a rivolgere al Cielo, un versetto della Scrittura che si ripeterà il più spesso possibile. Sempre attuale è la preghiera trasmessa da Giovanni Cassiano: «O Dio, vieni a salvarmi; Signore, vieni presto in mio aiuto». Un sussulto può anche essere provocato dalla meditazione sulle cose ultime richiamando l’uomo di fronte al proprio destino. Perseverare con pazienza e ad ogni costo: «non abbandonare la cella» (Abba Arsenio) per noi significa non scoraggiarsi, non mollare tutto, sperare contro ogni speranza. Si tratta di continuare a fare ciò che si può, anche se sembra pochissimo. «Mentre mi trovavo in questa dura prova, racconta un Padre, mi sforzai e mi alzai, mentre non riuscivo a recitare l’ufficio perché il demone non mi lasciava andare; mi accontentai di salutare la Croce e di prostrarmi davanti ad essa. Visto che ho tenuto duro per un breve momento, il demone venne scacciato dalla potenza della Croce.» In questo caso la virtù necessaria è la pazienza. «Quando vuole liberare dalle tentazioni coloro che sono veramente suoi figli, il Padre compassionevole non toglie loro le prove, ma dona loro la pazienza di sopportarle. È nella pazienza che ricevono tutti i beni per la perfezione delle loro anime», dice Isacco il Siriano.
La distensione: anche una breve uscita che riconosciamo umilmente come necessaria, un lavoro manuale semplice, una migliore igiene fisica possono essere di aiuto. Soprattutto la carità fraterna in tutte le sue forme. A un monaco colpito dall’accidia, l’abate Poemen consiglia: «non disprezzare nessuno, non condannare nessuno, non calunniare nessuno e Dio ti darà la pace». Per San Giovanni Climaco la vita cenobitica è l’antidoto all’accidia. L’importante è non lasciar andare la mano di Dio e restare in relazione con Lui, ricordandoci che «le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi» (Rm 8,18). Quando e come Dio vorrà, presto o tardi, in questa vita o nell’altra, sperimenteremo la completa liberazione.
La citazione
«I miei avversari, dice l’accidia, sono la salmodia e il lavoro manuale; il mio nemico, il pensiero della morte; la mia assassina, la preghiera accompagnata dalla speranza certa dei beni futuri.» San Giovanni Climaco
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Racconto di una liberazione dall’accidia
«Più tenevo duro in questa dura tribolazione che si era abbattuta su di me, più essa spariva e svaniva davanti a me. All’improvviso ho visto come la palma di una mano che toglieva dal di sopra della mia testa come una pesante pietra e, allo stesso momento, fui sgravato da questo peso e ricolmo di una gioia e di una letizia inesprimibili; tutto il mio corpo e la mia anima divennero un’unica luce abbagliante, impossibile da descrivere con linguaggio umano.»
Giuseppe Azzaya (Lettera sulle tre tappe della vita monastica)
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