Il segno della croce ci introduce nella vita cristiana (primo rito del Battesimo) e apre tutte le preghiere liturgiche (e probabilmente quelle personali). Ma che rapporto c’è fra la Croce e la nostra vita di preghiera?
Passare dalla Croce
«Per la preghiera cristiana non c’è altra via che Cristo […]» (CCC n° 2664).
La nostra preghiera raggiunge il Padre attraverso la preghiera di Cristo: «Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te Dio Padre […]» La preghiera per eccellenza di Cristo è l’offerta della sua vita sulla Croce: «La preghiera di Gesù comporta un’adesione piena d’amore alla volontà del Padre fino alla Croce e un’assoluta fiducia di essere esaudito» (CCC n° 2620). Grazie alla Croce di Cristo la nostra preghiera non è più quella di schiavi davanti al padrone ma quella di figli davanti al loro Padre. Grazie alla Croce di Cristo il Padre accoglie le nostre preghiere come il padre della parabola accoglie il figlio prodigo abbracciandolo.
Potremmo pensare: siccome siamo riscattati, siccome siamo figli, la nostra preghiera non deve più rivolgersi alla Croce ma alla Risurrezione! Niente di più illusorio, dato che la Croce e la Risurrezione sono inseparabili. Ad ogni Eucarestia celebriamo la Passione, la morte e la Risurrezione di Cristo. Anche la nostra preghiera deve prendere la Croce di Cristo e seguire la sua preghiera, che è la via per giungere al Cuore del Padre (cfr. Mt 16,24). È questa partecipazione alla Croce di Cristo che rende feconda la nostra vita di preghiera. Partecipazione attiva come quando digiuniamo o vegliamo di notte per «sostenere» la nostra preghiera; o partecipazione passiva quando la Croce viene a «toccare» le nostre vite.
La Croce feconda la nostra preghiera
La preghiera umana sale al Padre con «l’ascensore» della Croce di Cristo; ma quando essa è vissuta «nella» sua Croce la nostra preghiera diventa particolar-mente feconda. Quando la croce «abbraccia» la nostra carne o la nostra anima, è Cristo stesso che viene a pregare in noi e feconda la nostra preghiera.
La preghiera di domanda. Il buon ladrone unisce la propria passione a quella di Cristo e la sua richiesta, in apparenza insensata a un passo dalla morte, è immediatamente esaudita: «Oggi sarai con me nel paradiso». L’altro malfattore vive la propria passione nella ribellione, incentrato su se stesso, morendo nella solitudine e nella propria sofferenza (cfr. Lc 23, 39-43).
La preghiera di intercessione. San Silvano ci dice: «Pregare per gli uomini significa donare il sangue del proprio cuore». Lo dice forse contemplando il Cuore squarciato di Cristo sulla Croce. Non appena Santa Teresa di Gesù Bambino si offre come vittima all’Amore misericordioso (giugno 1895), il suo corpo e la sua anima sono uniti alla Passione di Cristo (aprile 1896). Seduta al tavolo dei peccatori si offre con Cristo per loro e può trascorrere il suo Cielo facendo del bene sulla terra e intercedendo per noi presso il Padre.
La preghiera di lode. Si pensi alla lode dei tre giovani nella fornace ardente (cfr. Dn 3, 23-25); o alla beatitudine dei perseguitati per la giustizia che si rallegrano ed esultano (cfr. Mt 5,10-12). Pensiamo anche a San Francesco, che scrive la preghiera del Cantico delle creature «Laudato sii mio Signore…» dopo aver ricevuto le stigmate, aver quasi perso la vista e subìto nella propria carne la Passione di Cristo.
La preghiera di adorazione. È quando la Croce «tocca» la nostra adorazione che il vaso si rompe per diffondere il profumo e riempirne tutta la casa (cfr. Mc 14, 3; Gv 12, 3; Sal 50, 19). Ai piedi della Croce San Giovanni è nel dolore e nell’incomprensione di fronte al mistero della Passione, ma rimane in adorazione e contempla il Cuore di Cristo ormai sempre aperto per noi, affinché vi facciamo la nostra dimora. E il Cuore di Maria è squarciato dalla spada affinché tutto ciò che il suo cuore ha custodito, meditato e adorato del mistero di Cristo sia consegnato a coloro che stanno con lei ai piedi della Croce. Quando Santa Teresa di Calcutta identifica l’esclamazione di Cristo «Ho sete!» con l’esclamazione «Ho sete!» di un povero, la croce invade la sua anima e la sua adorazione passa incessante-mente dal Cristo in Croce presente nel Santissimo Sacramento al Cristo in Croce presente nel povero. Particolar-mente in lei la Croce diventa il luogo dove «pregare e donarsi si identificano» (CCC n°2605). Santa Teresa, occupan-dosi dei morenti, è diventata una nuova Maria «che versa questo olio profumato sul mio corpo in vista della mia sepoltura» (cfr. Mt 26,12).
Andando verso i poveri di Calcutta, viveva ciò che il santo Curato d’Ars aveva detto: «È la croce che ti porta, non sei tu che la porti»; è la Croce di Cristo che la portava verso il povero.
Accogliere la Croce
Ma quando viene a toccarci, accogliamo la Croce di Cristo in un’adorazione umile e fiduciosa oppure la rifiutiamo indurendo il nostro cuore? Se l’accogliamo inizia il processo di comprensione delle parole di San Luigi Maria Grignion di Montfort: «Senza croce, che croce!»; o quelle di Lanza del Vasto nella preghiera attorno al fuoco: «L’amore è la gioia di soffrire». Così accogliamo la fecondità – dolorosa come qualsiasi parto – che la Croce reca alla nostra preghiera, alla nostra adorazione. Se unisco le mie piccole croci quotidiane o le grandi prove della mia vita alla Croce di Cristo, allora «non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» per dirla con San Paolo in Gal 2, 19-20. La mia preghiera è allora nascosta nel Cuore di Cristo, Cuore aperto per sempre dall’Ascensione nella Gerusalemme celeste e la mia adorazione partecipa dell’eterna adorazione che circola in seno alla Santa Trinità. Ma poi non so perché la croce mi raggiunge nella notte: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandona-to?» (Mt 27, 46). E, come Cristo nel Getsemani, come Teresa di Lisieux o madre Teresa, ho soltanto la fede per avanzare, l’abbandono ricolmo d’amore alla volontà del Padre: «Però non come voglio io, ma come vuoi tu!» (Mt 26, 39).
Per capire inoltre se la nostra aridità nei momenti di adorazione dipenda dalla nostra partecipazione alla Croce di Cristo o piuttosto dalle nostre fatiche, dalla nostra pigrizia o dalla nostra mancanza di zelo saranno i frutti a dirlo. La nostra partecipazione alla Croce produce in noi frutti di umiltà, di mitezza, di bontà, di pace e di gioia profonda proprio nel pieno delle tempeste esterne.
Infine non dimentichiamo che ogni volta che invoca la benedizione di Dio sul mondo, la Chiesa accompagna la sua preghiera con il segno della Croce: «Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo». Grazie alla Croce la nostra preghiera incontra la benedizione di Dio.
La testimonianza di Giobbe (cfr. Gb 42, 13-15)
La testimonianza di Giobbe ci mostra come la Croce trasforma la nostra preghiera. Prima della prova la benedizione di Dio aveva concesso a Giobbe sette figli e tre figlie di cui ignoriamo i nomi. Dopo la prova il Signore gli concede nuovamente sette figli che non sono nominati e tre figlie di cui sono indicati i nomi e di cui si dice che erano molto belle e a cui, come anche ai fratelli, il padre dona una parte di eredità. Perché questa improvvisa attenzione alle sue figlie? Grazie alla prova – la Croce – il suo rendimento di grazie per la benedizione di Dio si rivolge meno all’efficacia (simboleggiata piuttosto dal maschile, almeno culturalmente) che non alla fecondità (simboleggiata piuttosto dal femminile), meno al «fare» che non all’«essere», meno all’agire che non alla contemplazione. La Croce ha aperto il suo cuore all’essenziale e ha trasformato la sua preghiera.
La citazione
«Chi agisce per il Regno fa molto. Chi prega per il Regno fa di più. Chi soffre per il Regno fa tutto.» Cardinale Tomasek
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