«I fratelli e le sorelle impareranno, secondo la spiritualità del Carmelo, a camminare grazie all’esercizio costante della preghiera in tutte queste forme.» (Livre de Vie, n° 59). Ma in che cosa consiste la scuola del Carmelo? È la domanda che ci porremo in questo numero e nel prossimo.
A questa domanda abbiamo forse la tendenza a rispondere un po’ velocemente: nella vita di preghiera contemplativa. Nel bollettino di novembre abbiamo riflettuto sulla preghiera contemplativa come la nostra grazia principale, ossia la fonte da cui tutto il resto proviene. Vivere questa grazia principale secondo la spiritualità del Carmelo significa anche che questo carattere specifico della fonte impregnerà tutto ciò su cui si riversa: la vita fraterna e la vita apostolica. Seguendo questa logica diamo quindi uno sguardo su cosa significhi vivere la preghiera contemplativa al seguito del Carmelo, per poi vedere quali ripercussioni avrà sugli altri pilastri della nostra vita alle Beatitudini.
Annaffiare il nostro giardino
I grandi maestri della preghiera contemplativa carmelitana, San Giovanni della Croce e Santa Teresa d’Ávila, descrivono il cammino della preghiera contemplativa attraverso delle immagini: la salita del Monte Carmelo e il castello interiore. In questa sede evochiamo un altro simbolo evocato da Teresa d’Ávila, che descrive la preghiera contemplativa ricorrendo all’immagine di un giardino che dobbiamo annaffiare (cfr. Vie XI, seg.). Questo giardino è la nostra anima e il giardiniere è Dio. Dopo aver disboscato e seminato belle piante, ce ne affida la cura. Il nostro compito non è quello di piantare o di sradicare, ma quello di annaffiare. Le piante rappresentano le virtù, mentre l’acqua rappresenta le grazie ricevute nella preghiera.
Teresa descrive quattro modi di annaffiare questo giardino che corrispondono alle diverse fasi della preghiera contemplativa. Il Maestro della creazione ci affida con tanto amore e piena fiducia la sua opera e ci chiama a collaborare con Lui: una relazione d’amicizia e di fiducia in cui l’iniziativa iniziale è sempre del Maestro, ma nella quale, senza la risposta del discepolo, l’opera non potrà svilupparsi pienamente. L’acqua è sempre donata, anche se in modi diversi, ma non è fine a sé stessa e nemmeno per la gioia del giardiniere; essa è necessaria alle piante. Le grazie della preghiera sono utili per far crescere in noi la capacità di amare (cfr. Thomas Green in Opening to God).
Diamo quindi una breve occhiata a questi quattro modi di annaffiare.
- Il pozzo
Con l’aiuto di un secchio «attingiamo acqua dal pozzo a forza di braccia» (Vita, XIV). È un’operazione lenta, faticosa e poco efficace: tanto lavoro per poca acqua. Ma questo permette alle nostre piante di crescere. Nella preghiera contemplativa, questo corrisponde alla fase dell’orazione mentale: la riflessione sulla nostra vita, sulle nostre esperienze quotidiane, alla luce del Vangelo, la meditazione discorsiva sulla vita del Cristo. È soprattutto il nostro intelletto che lavora attivamente. In questa fase la nostra difficoltà e fare silenzio e concentrarci su un soggetto. Lo sguardo onesto su noi stessi, le prese di coscienza poco lusinghiere non facilitano le cose. Tutti ne abbiamo fatto l’esperienza: abbiamo un grande desiderio di silenzio e di raccoglimento, ma non appena vi è una possibilità per entrarvi, ecco che indietreggiamo. In questo ambito soltanto una fedeltà instancabile, una ferma decisione di non tornare indietro possono aiutarci.
- La noria
Senza cambiamenti da parte nostra e con nostra grande sorpresa gli stessi metodi e temi di preghiera ci permettono di accedere all’acqua molto più velocemente. Teresa utilizza l’immagine della noria, uno strumento meccanico che attinge in modo molto più comodo l’acqua dal pozzo. Improvvisamente il Signore moltiplica il risultato dei nostri sforzi. Tutto prende vita, tutto ci parla del suo amore. Fino a quel momento abbiamo faticato a conoscere il Signore e a conoscere noi stessi. Questa conoscenza ci apre ora alla gioia dell’incontro. È ciò che Teresa chiama la preghiera di quiete. Continuiamo ad andare al pozzo, ma non appena ci arriviamo l’acqua comincia a scorrere come se il pozzo fosse stracolmo. O come il calice dello Shabbat che deborda…
- Il fiume
Occorre soltanto dirigere quest’acqua viva verso le piante. E a partire da questa fase che si parla di grazie soprannaturali. La preghiera è sempre dono. Ma nelle prime due fasi la nostra parte attiva è più importante. L’esperienza della preghiera di quiete ci mette nella disposizione interiore per poter accogliere ciò che soltanto Dio può dare: le grazie della preghiera passiva.
- La pioggia
È il modo più efficace d’annaffiare il nostro giardino. È la dolce ma abbondante pioggia di primavera. Non dobbiamo fare altro che sederci e accogliere la grazia, permettendole di penetrarci. In queste ultime due fasi offriamo semplicemente a Dio il nostro tempo e la nostra persona affinché ne faccia ciò che vuole. Siamo l’argilla nelle mani del vasaio. Sembra facile, ma di fatto è la cosa più difficile per noi. Si tratta di abbandonarci totalmente, di lasciare ogni controllo, «di smettere di nuotare e di voltarci sulla schiena per galleggiare e permettere all’acqua di portarci dove vuole.» (Thomas Green in When the well runs dry)
Rileviamo ancora un fenomeno: l’aridità… Si manifesta in tutte queste fasi. Ma una volta verificato il fatto che non è causata dalla nostra pigrizia o dalla nostra infedeltà, possiamo abbracciarla come un altro modo di essere uniti a Cristo. Sembra che abbiamo bisogno di vivere questi tempi di prova per imparare ad amare veramente. Fatto stupefacente: non per questo il nostro giardino inaridisce…
Un’arte di vivere
Come applicare tutto questo alla nostra vita fraterna e alla nostra vita apostolica? È una domanda su cui meditare… Ma forse possiamo partire dai seguenti elementi (non esaustivi):
- tutto inizia da una relazione d’amore fra il Creatore e la sua creatura;
- è sempre Dio che prende l’iniziativa; – la nostra responsabilità personale è sempre decisiva;
- è un processo dinamico diretto dallo Spirito Santo;
- nel silenzio e nella vigilanza interiori riconosciamo l’azione dello Spirito;
- adeguarvici con fiducia e abbandono conduce alla fecondità;
- l’obiettivo è l’unione con il Beneamato;
- questa unione sfocia nell’unione con tutte le cose create.
Alla scuola del Carmelo ci fa quindi acquisire uno stile di vita, incentrato progressivamente su Dio e di conseguenza la relazione – con Lui, con noi stessi con i nostri cari e con il mondo – è al centro della nostra esistenza. Modellati dalla preghiera di contemplazione in tutte queste relazioni, collaboriamo all’opera del giardiniere. Siamo il tralcio attaccato al Cristo che è la vigna. I frutti sono affar suo. Il tralcio deve fare soltanto una cosa: fissare il suo sguardo, la sua attenzione sulla vigna e trarne la linfa. Tutto il resto è dono.
Abbiamo molto da imparare alla scuola del Carmelo… Torneremo pertanto su questo tema nel prossimo numero.
La citazione
«Dobbiamo coltivare attitudini che corrispondono all’amore che ha toccato nostro cuore. Tuttavia non ci riusciremo grazie a buone decisioni, ma attraverso la nostra fedeltà all’appuntamento quotidiano con Dio, durante il quale l’unico nostro obiettivo è di mantenere il nostro cuore aperto a questo amore che ci trasforma.» James Finley
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Il “Libro di Vita” è il testo fondante della spiritualità della Comunità. Puoi scaricarlo qui in francese o ordinarlo da Editions des Béatitudes. Ia versione in italiano verrà pubblicato prossimamente.